PROFESSIONE REPORTER/3 – I volti e i luoghi del lavoro

Night shift at Indesit Company dishwashing assembly line. Italy, 2007
[@ Enzo Signorelli photographer]

Sono sempre stato affascinato dai luoghi del lavoro. Per molte ragioni: sono spazi enormi, con geometrie e volumi del tutto particolari, spesso dotati di una forza enorme, temibile.  Costruiti dall’Uomo, che vi trascorre una parte rilevante della propria esistenza – forse la migliore -, non sono fatti per viverci. Una contraddizione che ho cercato di spiegare e di raccontare con le mie fotografie, durante un arco di tempo che dura ormai da quattro decadi. 

Ho incontrato e fotografato operai e grandi imprenditori, uomini e donne, con mansioni e incarichi di ogni tipo e livello. Lavoratori, manager, ingegneri, architetti, tecnici, progettisti, venditori, impiegati, guardiani e anche qualche figlio di buona donna. Gente di ogni estrazione sociale. Non ho mai trovato due volte la stessa situazione, muovendomi in una realtà non del tutto esplorata. Un mondo vastissimo quello del Lavoro, dove c’è dentro anche il mio.

© Enzo Signorelli

[Riproduzione riservata per fotografie e testo]

1992 Ravenna, Italy – Soybean Processing Plant [© Enzo Signorelli photographer]
Milano, 1996 – A worker at Carlo Vedani Aluminum Foundry [© Enzo Signorelli photographer]

Sondrio, Italy – The Edison High-Voltage Power Line at Stelvio Pass, Eastern Alps [© Enzo Signorelli photographer]
Trapani, Italy – Restoration work in the Church of the Holy Souls in Purgatory [© Enzo Signorelli photographer]

PROFESSIONE REPORTER/2 – Marina di Melilli storia di un paese che non c’è

Marina di Melilli (Siracusa) – Fotografie 1982-2006 – Un’abitazione abbandonata in quello che rimane del piccolo borgo marinaro raso al suolo negli anni ’60 e ’70. [© Enzo Signorelli photographer]

FOTOGRAFARE IL NULLA

Arrivai a Marina di Melilli la prima volta nel 1984. Ero un giovane fotoreporter alle prime esperienze, accompagnavo Roselina Salemi, una giornalista che mi raccontava la storia di un paese fantasma mentre guidavo sulla trafficatissima statale tra Catania e Siracusa. Marina di Melilli era un piccolo villaggio che era stato quasi completamente cancellato negli anni settanta per fare posto alle industrie del petrolchimico di Priolo-Siracusa. Alcuni abitanti non vollero andarsene, difesero le proprie case dalle ruspe che demolivano tutto, continuarono a vivere e respirare aria che bruciava i polmoni, circondati da trenta chilometri quadrati di impianti, serbatoi, tubi, navi, ciminiere, scarichi, fumi, rumori, vibrazioni e veleni.

Marina di Melilli – Fotografie 1982-2006. [© Enzo Signorelli photographer]

Ero preoccupato e curioso al tempo stesso. Fotografare qualcosa che non c’era non era impresa facile ed io volevo conquistarmi la fiducia della collega, già piuttosto conosciuta per le sue inchieste. Svoltammo a sinistra all’altezza della raffineria Isab ed entrammo in quello che restava del paese. Mi trovai di fronte una dozzina di costruzioni male in arnese, isolate tra strade invase dall’erba e dalla polvere. In mezzo non c’era nulla, la spiaggia era deserta e piena di detriti, le strade vuote, le case sembravano abbandonate. Guardai in alto verso la linea elettrica. I cavi erano al loro posto su vecchi pali di cemento, doveva esserci qualcuno.

Marina di Melilli – Fotografie 1982-2006 – Uno degli ultimi abitanti rimasti a Marina di Melilli con i suoi cani. [© Enzo Signorelli photographer]

Si avvicinò un uomo accompagnato da un cane che cominciò a raccontarci una storia. Dentro la macelleria vuota una signora aspettava clienti che non esistevano più, nel banco frigorifero non c’era nemmeno un pezzo di carne. Il fornaio mostrava gli attrezzi per fare il pane, ma non c’erano né acqua, né farina, né lievito e il forno era spento. In quello che rimaneva della strada principale passò il postino, poi due ragazzi che abitavano con la madre nella casa ricoperta di conchiglie. Una signora in vestaglia stendeva il bucato su una terrazza corrosa dalle polveri acide delle ciminiere vicine.

Marina di Melilli – Fotografie 1982-2006 – Salvatore Gurreri nella sua abitazione. [© Enzo Signorelli photographer]

Poco più in là abitava Salvatore Gurreri, un anziano signore che viveva con la compagna Lina in una villetta a pochi metri dal mare. Lottava da anni contro le industrie che volevano cancellare le ultime case di Marina di Melilli. Con le sue denunce, i ricorsi, le lettere mandate a tutte le autorità dello Stato e ai giornali difendeva la propria famiglia e la propria casa. Scattai alcune fotografie mentre, con l’indice alzato, raccontava dell’ultimo misfatto appena scoperto. Dormiva con un fucile da caccia, una vecchia doppietta centenaria, sotto il letto. Non si sentiva al sicuro. Lo incontrai ancora un paio di volte, prima che venisse assassinato da due killer nel 1992 per trecentomila lire. Della sua compagna Lina, che aveva combattuto nella Resistenza, e del fedele pastore tedesco che viveva con loro non ho più avuto notizie.

Marina di Melilli (Siracusa) – Fotografie 1982-2006. [©Enzo Signorelli photographer]

Tornai a Marina di Melilli altre volte, tentando ancora di fotografare il nulla. Nel 1983 c’erano dieci case abitate, poi sette, poi quattro, oggi nessuna. La casa di conchiglie è stata demolita per fare posto ad un grosso cantiere. Altre hanno fatto la stessa fine. La linea elettrica non c’è più, non si vedono panni stesi, non c’è posta da consegnare, non ci sono bambini che giocano. La casa di Salvatore Gurreri è ormai un cumulo di macerie tra gru enormi, cancelli arrugginiti e filo spinato.

Immagini, filmati e testo di © Enzo Signorelli

[Riproduzione riservata]

PROFESSIONE REPORTER/1 – Il ritratto del giudice Giovanni Falcone

Genova, novembre 1987 – Il giudice Giovanni Falcone fotografato in occasione del XIX Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati a bordo del transatlantico Achille Lauro. [© Enzo Signorelli]

UN INCONTRO CHE NON AVREI MAI DIMENTICATO

di Enzo Signorelli

Al tempo del primo grande processo di Palermo contro la mafia tutti i giornali volevano le fotografie di Giovanni Falcone. L’agenzia di Milano per cui lavoravo mi aveva affidato l’incarico di fotografare il magistrato, ma non era per niente facile.

Ero già stato a Palermo nei primi giorni del maxiprocesso (febbraio 1986) ma non ero riuscito a fotografare Falcone. Lo avevo incontrato una sola volta, per caso, inaspettatamente, davanti all’aula bunker dell’Ucciardone. Ricordo di aver impugnato la macchina fotografica, con voluta lentezza, ma un uomo della scorta mi aveva immediatamente bloccato mettendo la mano davanti all’obiettivo. Cosa ci faceva lì il magistrato? Lo avrei scoperto 34 anni dopo quando Vincenzo Mineo, direttore dell’aula bunker, leggendo questo testo ci rivelò che Falcone era andato a interrogare Michele Greco, arrestato proprio in quei giorni, il 20 febbraio 1986, e detenuto nel carcere dell’Ucciardone. All’interno della struttura blindatissima e super protetta dell’aula sarebbe stato più sicuro.

Pochi giorni prima ero andato al palazzo di Giustizia per ritirare l’accredito stampa per il processo. L’ora era insolita e solo pochissima gente si trovava nell’area tra i cancelli e l’edificio. All’improvviso arrivò a tutta velocità un corteo di auto a sirene spiegate. Era la scorta del giudice Falcone che lo accompagnava in ufficio. L’Alfetta blindata del magistrato percorse rapidamente la lunga rampa in cemento costruita per consentirgli di scendere dall’auto il più vicino possibile al portone d’ingresso. Ovunque intorno si erano materializzati agenti con le armi in pugno e i giubbotti antiproiettile. Guardavano rapidi in ogni direzione, forse un po’ nervosi. Non provai nemmeno a prendere la Nikon dalla borsa. Falcone mi passò accanto, senza notarmi. Ero rimasto immobile, tranquillo, consapevole di avere addosso lo sguardo dei poliziotti pronti ad intervenire. L’azione durò alcuni secondi. Poco dopo tutto ritornò alla normalità, al ritmo silenzioso e assonnato di prima. Ripresi a respirare.

Molto tempo dopo, leggendo come ogni mattina i quotidiani in ufficio a Milano, trovo la notizia  – un taglio basso come si dice in gergo – che annunciava il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati in programma a Genova da lì a pochi giorni. Era quasi certo che Falcone avrebbe partecipato, poteva essere una delle rarissime occasioni per incontrarlo. Faccio sparire il ritaglio nascondendolo ai colleghi d’agenzia, vado fuori e telefono subito agli uffici competenti per saperne di più. Riferiscono che per ragioni di sicurezza il convegno si sarebbe tenuto a bordo di una nave – venni a sapere dopo che era l’Achille Lauro, ormeggiata al porto di Genova – e non c’erano molti accrediti stampa a disposizione. Insisto e finalmente ottengo il pass. 

L’espresso N.37 del 18 settembre 1988, copertina. [fotografia di Enzo Signorelli]

Ricordo ancora la sagoma azzurra e bianca della nave avvistata mentre percorrevo in auto la soprelevata di Genova. “Ci siamo – pensai – adesso vedremo se mi faranno salire a bordo davvero”. Avevo scelto un giorno qualsiasi sperando di non trovare troppi reporter. Superati i controlli, affrontando la passerella che collegava la nave alla banchina mi sentivo come un viaggiatore che lascia la propria terra per recarsi in un continente sconosciuto. Sono a bordo. Nei saloni dedicati al convegno c’era troppa gente in poco spazio, avrei dovuto lavorare con un’ottica grandangolare e non mi piaceva. meglio aspettare. Approfittando di una pausa dei lavori finalmente mi presento a Falcone chiedendogli di poterlo fotografare. Ricordo che mi ringraziò per l’interesse che avevo dimostrato per lui (credo anche per la gentilezza di averglielo chiesto prima), scusandosi però di non riuscire a posare per una fotografia. Non voleva mettersi in mostra. Poco dopo, seduto vicino ad un finestrino della nave, il giudice iniziò a scrivere con la stilografica su alcuni fogli già fitti di appunti. Il diniego che aveva posto in maniera così garbata, non accompagnato da un gesto che avrebbe chiuso definitivamente la questione, piuttosto da un impercettibile sorriso, mi fece sperare. Potevo scattare qualche foto, senza esagerare, non troppo da vicino. Scelto un punto di osservazione cambiai velocemente ottica studiando l’inquadratura solo con lo sguardo, senza muovere la macchina fotografica. La luce che entrava dal finestrino era perfetta ma difficile: controluce di tre quarti. Meglio non usare il flash, sarebbe stato banale e avrebbe inevitabilmente rovinato l’atmosfera cancellando le ombre. Falcone fumava tranquillamente un sigaro toscano mentre scriveva. Un sottile filo di fumo azzurrino si sollevava diffondendo l’aroma del tabacco Kentucky italiano. Attendevo il momento giusto per scattare, intravedendo nel leggero controluce la grafia ordinata e fluida del giudice, completamente immerso nei propri pensieri. Per un attimo rimasi affascinato da tutto quell’equilibrio, controllai il fuoco e scattai due o tre volte, non di più. Rapido. Sicuro. Senza usare il motore per non disturbare. Così ho fermato un momento della storia d’Italia, e della mia carriera.

[Riproduzione riservata per le fotografie e il testo]

© Enzo Signorelli

Una nuova avventura è cominciata: la coltivazione degli olivi alle pendici dell’Etna

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Un esemplare di orchidea spontanea (Himantoglossum robertianum o Barlia robertiana) fiorisce all’ombra dei fichidindia grazie al terreno non contaminato e all’ecosistema pressochè intatto. Sullo sfondo si erge un olivo secolare della varietà Nocellara Etnea.

Sette anni in campagna

A volte le cose più importanti che facciamo nascono per caso, da coincidenze fortuite, qualche volta per gioco. Sette anni fa volevamo vendere una piccola proprietà  di famiglia, due ettari di terreno alle pendici dell’Etna con poco più un centinaio di alberi di olivo, molti dei quali con oltre un secolo di vita. Sono sopravvissuti ad un incendio disastroso divampato una quarantina di anni fa, alcuni olivi sono morti e rinati nei nuovi germogli opportunamente innestati. Altri si sono ripresi da soli, pochissimi non ce l’anno fatta, la maggior parte per fortuna ha resistito. Da quanto tempo coltiviamo questi olivi? Da più di un secolo. I racconti di mia madre, oggi quasi ottantenne, rimandano al bisnonno che ha fondato la proprietà – successivamente suddivisa tra quattro eredi – con un palmento antico, i fabbricati rurali, olivi, mandorli, pistacchi, fichidindia. Siamo in territorio di Ragalna, uno dei comuni del parco dell’Etna, zona di eccellenza per le olive DOP Monte Etna dove i nostri alberi vivono in un ambiante incontaminato, molto difficile da coltivare. Gli alberi d’olivo, alcuni maestosi, crescono tra le rocce laviche, circondati da una vegetazione selvaggia e lussureggiante, arroccati in luoghi non proprio accessibili. Lavorare questa terra richiede molta fatica, senza contare i pericoli muovendosi tra rocce e antiche colate di lava ricoperte di muschi e licheni coloratissimi; bisogna fare tutto a mano spostandosi a piedi e portando in spalla gli attrezzi necessari e l’acqua: una faticaccia. Ma la fatica è stata sempre ripagata dal fascino e dalla silenziosità del paesaggio intatto e selvaggio, abbellito da migliaia di bulbi colorati che fioriscono lungo i sentieri, ciclamini che spuntano nelle zone più ombreggiate, funghi commestibili, verdure di campo (avete assaggiato i caliceddi?), asparagi selvatici buonissimi (quelli bianchi, molto prelibati), fichidindia che maturano prima di natale: gialli rossi e bianchi, i più dolci. Ci sono anche erbe aromatiche come la nepitella (mentuccia) che si usa in cucina e che possiede qualità medicinali – gli uccelli si riparano tra i ciuffi di questa pianta per curare le ferite -. La proprietà è abitata da conigli, tanti uccelli, un paio di donnole, un falchetto che controlla l’area credendosi un drone, qualche serpentello e pochissime, ormai molto rare, tartarughe di terra. In passato si faceva vedere anche una volpe.

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Un tronco di olivo secolare con i caratteristici disegni e rilievi della corteccia.

In febbraio fioriscono le orchidee spontanee che crescono nei luoghi più freschi e riparati vicino agli ulivi. Sono della varietà  Barlia robertiana, l’orchidea di Robert (un botanico francese vissuto tra i ‘700 e l’800), di colore viola screziato di bianco e la tipica struttura a grappolo allungato. E’ un fiore abbastanza comune che è diventato raro, praticamente scomparso dalle nostra campagne troppo modificate dall’uomo. L’uso, spesso incontrollato, di pesticidi, trattori, motoseghe e mezzi meccanici ha modificato e irrimediabilmente stravolto un terreno bello e aspro frutto di una naturale trasformazione millenaria delle colate laviche dell’Etna. Tutto questo ha facilitato il lavoro dei contadini e dei piccoli produttori, ma ha praticamente distrutto l’habitat caratterizzato da una biodiversità unica e avvolgente che si trova solo alle pendici del nostro vulcano.

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Olive della varietàˆ Nocellara Etnea, una cultivar siciliana autoctona diffusa nella zona centro orientale. La Nocellara dell’Etna sopporta bene la carenza di acqua, adattandosi bene ai suoli vulcanici ricchi di rocce e facilmente permeabili.

E poi c’è l’olio: molto più che biologico, delicato, naturale, sano. Il nostro olio extravergine profumato e saporito ha un bassissimo grado di acidità, grazie alle sostanze che si trovano nel terreno vulcanico che lo rendono stabile nel tempo. Conservato bene dura tranquillamente due o tre anni, un’abitudine necessaria tenuto conto che la coltivazione non intensiva che mettiamo in pratica prevede raccolti ogni due anni, quando va bene. Da noi non si fa uso di alcuna sostanza sul terreno, sugli alberi, sulle nostre olive. L’olio viene ottenuto dalla spremitura a freddo di olive Nocellara Etnea (che sono la maggior parte), mescolate con piccole quantità di varietà autoctone: Murghitana (Moresca), Pizzutella, Minnedda, Ugghiara, ormai entrate nel mio nuovo vocabolario di campagna. Ci sono anche modeste quantità di altre cultivar, piantate una ventina di anni fa in seguito ad un errore trasformatosi oggi in una risorsa, che danno gusto e aroma particolari all’olio. Ma questo è un nostro piccolo segreto…

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Olio extravergine d’oliva appena molito a freddo. Si tratta di un blended molto prufumato con predominanza di olive Nocellara Etnea, piccole quantirtà di altre cultivar siciliane e alcune varietà antiche, tutte provenienti da un’unica proprietà.

Torniamo all’inizio: un giorno mia madre mi comunica che non ce la fa più a sostenere la gestione della proprietà. Decidiamo di vendere. Qualcuno telefona per vedere la campagna, ma si scoraggia per le difficoltà e non troviamo un acquirente convinto. Non rimane altro da fare: compro gli attrezzi necessari e parto in compagnia Di Alfio, il nostro contadino, per fargli da assistente durante la potatura, rimandata ormai da troppo tempo. Siamo in febbraio-marzo, i mesi più freddi dell’anno. Accendiamo il fuoco per riscaldarci la mattina mentre osservo pensieroso gli alberi con le chiome fittissime e troppo cresciute. Gli olivi con le radici che hanno spaccato la lava per trovare il nutrimento crescono rigogliosissimi, forti, abbeverati solo dall’acqua piovana che da queste parti è praticamente potabile grazie alla scarsa urbanizzazione, al traffico ridotto, all’assenza di fabbriche e attività commerciali.  Mi riscaldo presto lavorando con la mia prima scala il legno di castagno acquistata da un artigiano del luogo. È lunga oltre cinque metri – meglio un metro in più aveva suggerito Alfio, così andrà bene anche per gli alberi più alti – e pesa come un cristiano. La sera tornando a casa mi sdraiavo sul divano, solo un momento pensavo. Quasi sempre mi addormentavo, vestito e con le luci accese, dimenticandomi di cenare, riscaldato dal fuoco della stufa a legna che ero riuscito a caricare con le ultime energie…

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Alberi di olivo prima della potatura che viene praticata prevalentemente in inverno oppure all’inizio della primavera. Alcuni preferiscono potare subito dopo la raccolta, specialmente se tardiva.

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Mandorli in fiore illuminati dalla luce calda del tramonto. Nelle piantagioni di olivo anticamente si usava piantare anche alberi di mandorlo, di diverse varietà, per il consumo domestico, per la preparazione di dolci, per la vendita a laboratori di pasticceria e fabbriche di confetti nunziali.

In campagna, almeno per noi, il pranzo è un rito. Tiriamo il fiato e recuperiamo energie. Seduti su dei tronchi sotto la chioma di un olivo, su un comodo prato naturale, prendiamo dalle borse le vettovaglie e i cibi condivisi su una tavola improvvisata, ricoperta da una tovaglia in cotone ricamato che doveva far parte di un antico corredo siciliano, portata da Alfio. Non usiamo stoviglie di plastica, che è assolutamente bandita; posate e piatti da casa, il coltellino per gli innesti o quello da caccia di mio nonno completano la dotazione necessaria. Si chiacchiera un poco, parlando del lavoro fatto o di quello da fare, condito con qualche pettegolezzo, storielle di paese, battute così per ridere. Il caffè non manca mai, caldo e fatto con la moka. Dopopranzo la scala in durissimo legno di castagno diventa ancora più pesante e anche braccia e gambe sembrano non rispondere a dovere, ma dura poco. Concentrarsi sul lavoro significa accorciare la giornata e non badare alla fatica. In realtà quelle giornate non volevo accorciarle mai. Rimasto solo, facevo ancora qualche lavoretto di rifinitura – avere un senso estetico è una bella cosa, ma può portare alla rovina -, oppure tagliavo un poco di legna per il camino. Sono sempre stato dell’idea, maturata certamente dalla mentalità contadina, che le risorse della campagna non vadano sprecate. Con poco lavoro supplementare recupero il legno d’olivo delle potature, che è ottimo da ardere dopo la giusta stagionatura, oppure il legno degli alberi che vanno ridimensionati, contribuendo a riscaldare le nostre case. Praticamente senza alcun impatto ambientale, raggiungiamo il massimo comfort con un risparmio energetico che si avvicina al 50%.

Ragalna, Etna (Sicilia) - Coltivazione degli olivi in contrada D
Una testuggine di terra (Testudo hermanni) trovata nell’oliveto durante i lavori di pulizia del suolo che si svolgono in primavera. La tartaruga, fotografata e subito rilasciata, fa parte di una famiglia che vive in una zona più selvaggia e tranquilla della proprietà. Divenute ormai rare, a causa degli sconvolgimenti dei terreni agricoli e per il commercio illegale, le testuggini di terra sono una specie protetta.

Se dovessi esprimere con una sola parola tutto quello che ho visto, che ho trovato, che ho annusato, che ho condiviso, che esiste in questo fazzoletto di terra tra gli olivi, il termine giusto è: equilibrio. Già, l’equilibrio. Quello della natura, con un piccolo intervento dell’uomo che vi ha impiantato sopra le proprie coltivazioni. Un equilibrio bio-dinamico che l’uomo, da solo, non potrà mai ricreare. Un equilibrio, anche interiore, che con fatica e tantissima soddisfazione cerco di conservare e proteggere fino a quando ne avrò la forza.

© Enzo Signorelli 2018

[Riproduzione riservata]

>> Texte en français: Une nouvelle aventure a commencé

From the Eastern Side of the Sacred River – Reportage in Jordan

Smoking hookah at sunset in front of the Monastery in Petra. El Deir, also known as ‘The Monastery’, is a monumental building carved out of rock in the ancient Jordanian city of Petra. Established around the 4th century BC, Petra was the capital city of the nomadic Arab Nabataeans. Discovered only in the 1812 by Swiss traveller and geographer Johann Ludwig Burckhardt, Petra is one of the most relevand UNESCO World Heritage Site and is also one of the New7Wonders of the World. [© Enzo Signorelli photographer]

I spent a whole day visiting Petra, the old city of Nabataeans in Jordan, and I got well why it is one of the Seven Wonders of the world. I can’t imagine the incredible feelings of the explorer who discovered it on 1812. But I remember well my sensations, when I smoked the hookah in front of the Monastery, waiting for the red-gold light at sunset. The Jordan friend who rent the shisha gently refused my  money. ‘You are my guest’ – told me – and much probably he enjoyed the moment as well, sitting with me in front of this wonderful monument. While a slight breeze refreshed us and the shadows lengthening on the ground.

>> The full reportage coming soon

Journey to Israel – A new reportage coming soon

Reportage in Israel
Jerusalem – Afternoon prayers under the Wilson’s Arch at the Western Wall. Located to the left of worshipers facing the Wall, renovated on 2005, the covered area within Wilson’s Arch is part of men’s section. The area houses a Holy ark with the Torah scrolls, a library, heating for the winter and conditioning for the summer.

Crossing Israel – my pictures of Jerusalem, Tel Aviv, Negev, Dead Sea, Masada and Galilee. Along the Jordan River, looking for the roots of Humanity. From the Holy City of Jerusalem to the modern lifestyle in Tel Aviv, a photographic trip like a bridge beetween the past to the present. Give a sneak peek at NEOS Travel Journalists Society blog.

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Maria Domenica Rapicavoli oggi alla Fondazione Brodbeck di Catania – Vernissage

Maria Domenica Rapicavoli
September 24th, 2017 – The artist Maria Domenica Rapicavoli at the vernissage of “Intimacies” (Mediterranean Civilization) – Brodbeck Foundation, Catania, Italy.

Maria Domenica non finisce di colpire la nostra immaginazione guidandoci attraverso la sua ultima installazione “Intimacies” tra percorsi di luce, di sabbia, di materia che simboleggiano (assai bene) la complessità e l’incertezza delle rotte e delle migrazioni che legano le coste nord africane a quelle dell’Europa e della Sicilia in particolare. L’artista, sempre più conosciuta con il suo acronimo MDR, efficace così come lo è la sintesi artistica che ci propone con questa sua interessantissima opera, illustra i (tanti) significati dei materiali impiegati con la serenità e la sicurezza a cui siamo piacevolmente abituati. E così la luce azzurrissima proiettata sulle pareti diventa cielo e mare. I fili di nylon tesi tra le pareti sono i percorsi invisibili dei droni e degli aerei miliari che sorvegliano il mare antistante le coste tunisine e libiche. Le pietre, le ossidiane di Lipari, le conchiglie fossili, tutte pazientemente raccolte dall’artista, si incastrano perfettamente con i marmi candidi tunisini e turchi. Le rotte sono fatte di polvere di pomice disposta sul pavimento, non a caso una materia leggerissima, quasi effimera, capace di fluttuare (nell’acqua) come i corridoi aperti nel mare dai barconi dei migranti.

Maria Domenica è un’artista ormai formata capace di trasferire al suo pubblico le proprie visioni con l’efficacia e la lucidità che provengono dalla sua grande forza interiore. Bravissima e serena (così la vedo io) comunica la sua arte come pochi riescono a fare nel panorama artistico contemporaneo. Quando andrete a visitare l’installazione seguite il suo consiglio: entrate nella grande sala bianca e rimaneteci per un po’, magari in silenzio. Vi accorgerete di dettagli non percepiti subito. Materia e significati prima nascosti prenderanno forma infondendo nello spettatore la gioia di aver compreso, in un attimo, qualcosa che era sotto i nostri sensi sin dall’inizio. E così il disegno, l’idea, diventeranno realtà.

© Enzo Signorelli

[Unauthorized reproduction prohibited]

>> MDR Website

>>The Brodbeck Foundation

Industrial Photography – A New Website

Trento (Italy) - The Edison Hydroelectric Power Plant of Taio, near Santa Giustina Dam.
Trento (Italy) – The Edison Taio Hydroelectric Power Plant.

Factory never sleeps

My first corporate assignment was a reportage about the great oil refinery in Priolo, southern Italy. The petrochemical complex of Augusta-Priolo is an industrialized area, one of largest in Europe, located along the eastern coast of Sicily. The complex was built near the city of Siracusa, the ancient Greek town of Archimedes, listed by UNESCO as a World Heritage Site since 2005.

I have always been fascinated by huge and graphic industrial landscapes. I met many people in the workplaces, sometimes they were the subjects of my pictures. Furthermore, I have become friends with some of them: workers, engineers, technicians. They kept me company during the long photo sessions, night and day, seven days a week. The big factories never sleep…

After thirty years of Photography, and many others assignments, I am editing my reportages again. A selection of these now appears on a new website dedicated to my industrial photographs. Take a look, you are all very welcome!

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Lodz, Poland – A Promised Land in the New Europe

Lodz, Poland - A Promised Land in the New Europe
The old Monopolis vodka distillery in Doktora Stefana Kopcińskiego street before the restoration. Built in 1902 Monopol Wódczany is one of the most relevant symbols of the factory heritage of Lodz. [©Enzo Signorelli photographer]
Lodz is an industrial town, the second largest in Poland, which was “a promised land” during the Industrial Revolution in the 19th century. These years have been well described in Andrzej Wajda’s movie, inspired by the Wladyslaw Reymont’s book “Promised Land”. Afterwards, in 1927 Reymont was awarded by the Nobel Prize. Wajda in the ‘ 50 learnt at the prestigious National Film School in Lodz, as Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Zanussi, Roman Polanski. Arthur Rubinstein, one of the greatest pianists of the century, was born in Lodz. I went to the city for a shooting about the factories of an important Italian-international company. At that time I had a very poor knowledge about Lodz culture and its architecture. In Lodz there are neither tourists, nor souvenir of stores. Lodz is an ordinary working city. Today, following the inclusion of Poland in European Community, Lodz has become a promised land, once again, for buildings and modern industry. The old factories are being rebuilt and turned into offices, lofts, shopping centers, design hotels and art galleries. Modern buildings and new factories growing up near the Mittel-European boulevards, socialist blocks, liberty palaces and the old brick factories. As monuments from the past, still living in the present.

Enzo Signorelli

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Lodz, Poland - A Promised Land in the New Europe
The MIG-21 in front of the MOSIR arena in Aleja Politechniki. The aircraft has stood in the square since 2000. Dismantled on May, 2014, the Mikoyan-Gurevich MiG-21 is a supersonic jet fighter and interceptor aircraft, made in the Soviet Union. Its nickname in Polish is ‘Ołówek’: pencil. [©Enzo Signorelli photographer]
Lodz è una città industriale, la seconda per grandezza della Polonia, vera e propria “terra promessa” ai tempi della rivoluzione industriale. Quegli anni sono stati ben raccontati in un film di Andrzej Wajda, tratto dall’omonimo romanzo “Terra promessa” del premio Nobel Wladyslaw Reymont. Wajda aveva studiato a Lodz nella prestigiosa scuola di cinematografia dove si sono formati Kieslowski, Polanski e tanti altri. A Lodz è nato uno dei più grandi pianisti del secolo: Arthur Rubinstein. Ero arrivato in città per fotografare alcuni stabilimenti di una grande società italiana e non sapevo del suo background culturale, né della sua particolare architettura. Del resto a Lodz non ci sono turisti, negozi di souvenir, avventurieri e prostitute negli hotel. E’ una città di lavoro, praticamente sconosciuta. Negli ultimi anni, con l’ingresso della Polonia nella Comunità Europea, Lodz è tornata ad essere, per la seconda volta in quasi due secoli, “terra promessa” per l’edilizia e per la grande industria moderna. E così le vecchie fabbriche in mattoni sono state in parte riconvertite in uffici, loft, centri commerciali, hotel di design, gallerie d’arte. Nuovi edifici e moderni stabilimenti sorgono accanto ai boulevard mitteleuropei, ai blocks del socialismo, ai palazzi liberty del centro, alle imponenti fabbriche dell’Ottocento. Monumenti di un’era non ancora conclusa.

© Enzo Signorelli

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Lodz, Poland - A Promised Land in the New Europe
Old factory demolition and rebuilding near aleja Politechniki [©Enzo Signorelli photographer]

Lodz, Poland - A Promised Land in the New Europe
‘Hare you hungry?’. An old billboard in Tymienieckiego street advertising a restaurant. [©Enzo Signorelli photographer]

Iran tra Oriente e Occidente

Iran Reportage 2012

A cosa si avvicina di più l’Iran di oggi? All’Oriente o all’Occidente? Con questa domanda, rimasta allora senza risposta, si era conclusa la conversazione con l’ambasciatore italiano che avevo appena incontrato nel suo studio privato a Teheran. Davanti a due tazze di buon caffè, Alberto Bradanini, oggi ambasciatore in Cina, aveva lanciato elegantemente diversi argomenti sul tappeto, regalandomi questo quesito accompagnato da una stretta di mano calorosa, e da un sorriso bonario.
Non ci volle molto tempo per comprendere le ragioni che lo avevano spinto a non aspettarsi da me una risposta immediata. Viaggiando attraverso l’Iran, tra Isfahan e Persepoli, da Na’in a Shiraz, dal mar Caspio a Yazd, mi rendevo sempre più conto di quanto fosse difficile rispondere alla domanda. Dov’era l’Oriente? E dove l’Occidente? Attraversando boschi come in Svizzera, campi dove germoglia il riso più pregiato del mondo, laghi grandi come mari e mari chiusi come laghi, passando dalle cupole d’oro delle moschee alle torri del vento delle città del deserto, dai palazzi di Dario e di Serse alla solennità dei monti Elburz. Tutto è grandissimo, tutto si riduce all’essenziale. La tomba di Ciro il Grande a Pasargadae, una costruzione di pietra come una ziggurat, alta appena undici metri. Il Gran Bazar di Teheran, un mercato che si snoda per oltre dieci chilometri nella parte meridionale della capitale. Città di milioni di abitanti, brulicanti di vita. Villaggi di sabbia avvolti dal silenzio. I magnifici palazzi imperiali, le steppe infinite, i piccoli caravanserragli trasformati in ristoranti trendy. Le mille spezie che rendono inebriante il cibo locale. Miliardi di maioliche colorate che ipnotizzano chi guarda le volte di una moschea antica. Le donne, truccatissime con il capo coperto ma non troppo, che guidano le auto lanciate a tutta velocità per i boulevard della frenetica capitale. La piazza Naqsh-e Jahàn a Isfahan, dove al tramonto di un venerdì d’estate si danno convegno persone di ogni estrazione ed età. Arrivano a migliaia per un picnic improvvisato, una preghiera, un gioco di bambini, un giro su una carrozza trainata da cavalli, una visita alla imponente moschea dell’Imam, una chiacchierata tra amici gustando un gelato distesi comodamente sull’erba…

Con l’accordo sul nucleare iraniano, siglato a Ginevra nella notte del 24 novembre 2013 tra l’Iran, Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania, di fatto si riapre il dialogo con gli Usa, interrotto dal 1979 dopo la rivoluzione dell’Ayatollah Khomeini. Oggi Oriente e Occidente si confondono e si mescolano ancora di più. Sarà sempre più difficile distinguerli?

Enzo Signorelli
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